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Ictus, tipi, conseguenze e terapie


L’ictus è un danno a carico del tessuto cerebrale, oppure la necrosi di una sua porzione, causato da un afflusso insufficiente di sangue in una area del cervello. Quali sono i tipi, la diagnosi e le possibili terapie.

Ictus, una definizione

L’ictus è una condizione medica particolarmente grave, e potenzialmente mortale, che accade quando un’area cerebrale, dall’estensione variabile, ha un apporto di sangue ossigenato interrotto o eccezionalmente ridotto.

Il termine ictus indica tanto un danno cerebrale quanto la morte delle cellule cerebrali. In Italia l’ictus rappresenta la causa principale di invalidità, con una media di 200.000 casi su base annua.

Nel 95% dei casi i soggetti colpiti hanno almeno 45 anni e tra loro, i due terzi hanno una età maggiore di 65 anni. La probabilità che sia un uomo ad essere colpito da questa condizione è il 25% maggiore rispetto alla donna.

Tra i diversi termini utilizzati per designare questa condizione, si indicano: colpo apoplettico o attacco apoplettico, ischemia cerebrale o attacco cerebrale. Attualmente è la seconda causa di morte al mondo.

Qual è la differenza tra ischemia e ictus?

L’ictus, termine che indica il danno o la necrosi del tessuto cerebrale, può essere definito come la conseguenza di una riduzione di ossigeno, e dei nutrienti, portati dal sangue.

La riduzione di ossigeno e nutrienti che sono portati dal sangue, che si traduce in carenza degli elementi fondamentali al metabolismo cellulare, viene definita ischemia.

Tipi di ictus

L’apporto di sangue al tessuto cerebrale può verificarsi per chiusura o rottura di un vaso cerebrale. In questo senso è possibile classificare questa condizione in:

  • ictus ischemico, che accade quando un vaso arterioso cerebrale, oppure una arteria presente nelle immediate vicinanze (come la carotide) si restringe oppure si occlude completamente. L’ictus ischemico può essere trombotico oppure embolico se la causa è determinata da un trombo oppure da un embolo
  • ictus emorragico, che si verifica nei casi in cui una arteria cerebrale perde sangue oppure si rompe. La perdita di sangue determina pressione verso il tessuto cerebrale, determinando un danno. A seconda del luogo in cui si verifica l’emorragia si può avere un ictus emorragico intracerebrale o subaracnoideo.

Vanno segnalati anche gli attacchi ischemici transitori (TIA), termine che indica un deficit neurologico sia temporaneo che reversibile determinato da una riduzione transitoria di apporto sanguigno ai tessuti cerebrali.

Cosa succede in caso di ictus?

I sintomi dell’ictus sono variabili e la ragione di questa variabilità è determinata dalla specifica area del cervello che risulta colpita. Nel caso in cui fosse colpita l’area di Broca, nell’emisfero sinistro del cervello e deputata alla produzione del linguaggio, si avrebbe afasia.

Accanto alla variabilità va posta l’entità del danno: maggiore è l’estensione dell’ictus, maggiore la gravità dei danni. Ogni paziente colpito da ictus è quindi un caso autonomo e specifico. Bisogna inoltre specificare come i sintomi di un ictus tendono a manifestarsi in modo improvviso. Tra i principali sintomi si possono indicare:

  • una paralisi e un intorpidimento del viso, oppure degli arti. Sintomi che interessano un solo lato del corpo del paziente
  • difficoltà nel camminare accompagnata da vertigini, perdita di equilibrio e coordinazione
  • difficoltà nella vista, annebbiamento o vista offuscata
  • confusione del tutto improvvisa accompagnata da una difficoltà nel parlare e nel comprendere
  • mal di testa, spesso accompagnato da senso di nausea, torcicollo, vomito.

Ad essere interessato è solo un lato del corpo del soggetto perché gli emisferi del cervello controllano proprio un singolo lato del corpo: se è colpita la parte destra dell’encefalo, i sintomi interessano la parte sinistra, ad esempio.

Come nasce l’ictus?

La causa di un ictus, come si indicava in apertura, può essere riconducibile a:

  • un trombo, una piccola massa solida originata dal sangue
  • un embolo, una piccola massa non solubile e mobile che circola nel sangue
  • la rottura di un’arteria cerebrale, rottura cui segue l’emorragia.

Oltre alle cause è importante indicare i fattori di rischio, che si dividono in potenzialmente modificabili e non modificabili. Tra i fattori di rischio modificabili si indicano:

I fattori di rischio non modificabili sono:

  • l’età successiva ai 55 anni, con un rischio che raddoppia statisticamente ogni 10 anni
  • il genere maschile
  • la familiarità con patologie cardiache, il TIA o l’ictus
  • la popolazione cui si appartiene. Gli Asiatici, i Caraibici e gli Africani presentano una predisposizione maggiore.

Diagnosi di ictus

L’ictus, quando manifesta i suoi sintomi, richiede immediato intervento: chiamare il pronto soccorso è in ogni caso la prima azione da compiere. Il percorso diagnostico implica:

  • l’esame obiettivo dei sintomi e dei segni
  • l’anamnesi, che permette al professionista la valutazione sia dei sintomi che degli eventuali fattori di rischio
  • esami del sangue.

La diagnosi prevede anche diversi esami strumentali quali TAC e angioTAC, la risonanza magnetica, l’ecografia carotidea.

Quale terapia è possibile adottare?

Dopo l’immediata richiesta di cure ospedaliere, il trattamento terapeutico dipende dal tipo di ictus, dalla gravità della condizione e dall’area del cervello coinvolta.

L’ictus ischemico prevede trattamenti di natura farmacologica e chirurgica. Possono essere somministrati farmaci antitrombotici e anticoagulanti. Come antitrombotico può essere assunta l’aspirina, mentre tra gli anticoagulanti sono indicati l’eparina o il dipiridamolo. Sul piano chirurgico si agisce per la rimozione del coagulo di sangue o con una angioplastica e applicazione di stent.

Nei casi di ictus emorragico sono prescritti farmaci coagulanti ed eventualmente farmaci ipotensivi e farmaci per la riduzione della pressione intracranica. Il trattamento chirurgico può prevedere la rimozione del sangue oppure, in caso di rottura di aneurisma per ragioni congenite, è necessaria una riparazione dei vasi coinvolti.

Quando la malformazione vascolare è di tipo congenito, si può intervenire con una riparazione o con la radiochirurgia stereotassica, per la riparazione delle malformazioni.